23/06/2021

Quali sono le metriche importanti per uno shop online di successo?

Oggi siamo con Valentina Vellucci e Matteo Giorgi di Magilla, nostra agenzia partner. Il topic della Live Talk di oggi saranno i dati, per capire la differenza fra le metriche online.

Marco Salvatore: Iniziamo col capire cos’è Magilla e di che cosa si occupa.

Valentina Vellucci: Io mi occupo del reparto comunicazione. Matteo è il nostro Performance specialist, che lavora nel mondo SEO e paid. Magilla è la web agency bolognese che riesce a coniugare il mondo della strategia e della creatività e unendole alle conoscenze tecnologiche per accompagnare i clienti verso i gol prestabiliti. Quello che ci contraddistingue negli anni è la capacità di avere sempre viaggiato al fianco di un business, mai rincorrendolo, e, tramite la capacità di adattamento creativo, cerchiamo sempre di sperimentare, testare e dare stabilità ai risultati secondo le richieste dei nostri clienti.

Matteo Giorgi: Io curo tutte le attività di advertising per brand B2B e B2C, posizionamento organico, posizionamento paid, analisi e reportistica. Capire cosa fanno gli utenti all’interno delle piattaforme, per dare una lettura al comportamento e una lista di pro e contro per migliorare il processo di acquisizione e fidelizzazione.

M.S.: Ultimamente Google sta cambiando un po’ di cose, c’è stato un aggiornamento. Quali sono le metriche fondamentali da tener presente in Google Analytics?

M.G.: Le metriche fondamentali da tenere in considerazione sono varie. Innanzitutto è fondamentale tenere d’occhio l’acquisizione degli utenti, da quale sorgente di traffico stanno arrivando gli utenti e analizzare quali sono i canali che portano più visitatori. A seguire abbiamo il comportamento di questa utenza: il numero di pagine consultate per sessione, il rimbalzo, la durata della sessione. Successivamente, è importante tenere in considerazione i KPI correlati all’ecommerce: i prodotti più venduti, i prodotti che generano maggiori entrate. Questo per strutturare attività che possano dare maggiore risalto a questi prodotti. Per ultimo, non per importanza, abbiamo KPI come conversion rate, cioè la percentuale di sessioni che finalizza l’acquisto, il valore medio degli ordini, il percorso di acquisto che svolgono gli utenti, quindi capire la percentuale di utenti che dall’atterraggio, alla visualizzazione della categoria poi fa una visualizzazione prodotto, un add to cart, l’inizio di check-out e infine il purchase. Visualizzare questi KPI per singola sorgente è il mio consiglio per identificare i punti di forza e i punti deboli nel nostro progetto ecommerce e pianificare attività per migliorare l’acquisizione, migliorare alcuni aspetti che potrebbero avere dei punti negativi e potrebbero dar vita a più utenza, più acquisti da parte di quest’ultimi.

M.S.: Mentre parlavi, hai fatto riferimento alla frequenza di rimbalzo: c’è un valore di riferimento?

M.G.: Innanzitutto, è bene spiegare cos’è la frequenza di rimbalzo. Questo valore rappresenta la percentuale di sessioni di una pagina che non hanno svolto interazioni su quest’ultima. Se implementiamo un Universal Analytics in modalità standard, l’unica hit che registreremo è la page view. Nessun altra tipologia di interazione andrà a influenzare il rimbalzo se non il cambio della pagina. Di conseguenza, per ottenere un valore veritiero della frequenza di rimbalzo è necessario tracciare, tramite uno strumento che può essere Google Tag Manager, eventi Analytics come i touch point: lo scroll al 30%, al 50%, i click su un determinato bottone. Nel momento in cui l’utente compie l’azione da noi desiderata, bisognerà scaturire un evento. Scaturendo gli eventi, questi vengono visti come interazioni e andranno a generare una percentuale di rimbalzo più veritiera rispetto al comportamento dell’utente. Quindi, se installiamo Analytics così com’è, è un valore che dice poco e nulla. Se invece all’interno dell’ecommerce andiamo a tracciare tutti i touch point di principale interesse, riusciamo a capire la percentuale di sessioni che non compie le azioni da noi desiderate.

M.S.: Se un merchant qualunque volesse usare senza aiuto di un sopporto gli strumenti di Google, Analytics, Tag Manager, Data Studio, BigQuery, riuscirebbe a fare tutto da solo?

M.G.: Questa procedura si suddivide in due attività: quella di setup e quella di analisi. Il setup comprende l’installazione degli strumenti, quindi la configurazione all’interno del proprio sito degli strumenti per raccogliere i dati e consultarli in un secondo momento. Poi abbiamo l’attività di analisi: una volta che abbiamo installato questi strumenti bisognerà analizzare e consultare i dati raccolti. Fare autonomamente e correttamente il setup dei vari strumenti è un’attività che può svolgere un merchant che ha un minimo di competenza lato HTML e del CMS. Quindi una persona che sa interpretare il codice HTML, sa dov’è l’header PHP del template, riesca a inserire i tag nel posto dove richiede chi offre i sistemi di tracciamento. È chiaro che se una persona non ha queste competenze, potrebbe installarlo, però rischia di installarlo male e quindi forse è meglio affidarsi a consulenza esperta. Per quanto riguarda l’analisi, analizzare autonomamente e correttamente le sessione di tutti questi strumenti in sinergia richiede competenze analitico-strategiche correlate al marketing online, che non tutti i merchant hanno. Quindi, oltre che avere a disposizione la competenza tecnica per poter consultare questi strumenti e comprenderli devo avere anche tanto tempo a disposizione per poterlo fare. Quindi, un merchant che ha la giuste competenze potrebbe essere in grado di farlo. Dipende tutto dalla figura che gestisce il sito. In caso non si hanno competenze, o si hanno ma non si vuole rischiare l’errore, quello che consiglio è una consulenza esperta, come quella che può offrire Magilla.

V.V.: Nel nostro approccio, noi diciamo sempre che il merchant sa fare delle buone cose, che noi non sappiamo fare. Quello che c’è da considerare è il tema dell’investimento del tempo. Un imprenditore del settore della pelletteria che guarda Google Analytics non è che non lo capisce, non è questo il tema. Il tema è che tutto il tempo che ci mette a studiare Google Analytics lo toglie, spesso, all’idea di business. Un imprenditore per definizione deve essere in grado di delegare queste cose e, se proprio si vuole risparmiare qualcosa, risparmiamo sul contenuto ma non sul setup. Nel mondo dell’ecommerce, risparmiare su un setup vuol dire non sapere qual è la direzione strategica che si sta prendendo.

M.S.: Cosa consigliereste per la creazione di un’esperienza utente personalizzata, da integrare magari anche in PrestaShop?

M.G.: Il mio approccio è analizzare i dati raccolti dai sistemi di tracciamento, come può essere Google Analytics, ma anche strumenti correlati alla SERP, come Google Search Console, per comprendere quali sono le esigenze che portano i clienti verso la nostra realtà. A seguire, in base a quello che hanno cercato e dove sono atterrati, qual è il loro comportamento. Chiaramente, grazie a un’attività di questo tipo riusciremo a comprendere, per ogni canale, come si comporta l’utente, quali sono le sue problematiche sull’esperienza di acquisto, quali sono i suoi pro. Possiamo anche sottoporre un sondaggio, per comprendere quali sono le sue necessità, oppure possiamo integrare degli strumenti che permettono di analizzare il comportamento dell’utente in maniera più specifica, come heatmap, scroll map o registrazione della sessione, come possono essere HotJar o Yandex.Metrica. Sono strumenti di terze parti che ci permettono di vedere, con mappe di calore o proprio con registrazioni di quello che ha fatto l’utente, per vedere se ci sono problemi. Sulla base dei dati raccolti, cercare di ottimizzare la UX del sito web per creare un’esperienza di navigazione sempre più su misura per quello che è il nostro target. Un altro consiglio è di installare uno strumento come Google Optimize per fare A/B test su semplici elementi di layout realizzando delle varianti di pagina. Con queste piccole analisi, in piccolo, si riuscirà a ottimizzare il processo di acquisto e l’esperienza di navigazione.

V.V.: Una cosa che spesso noi consigliamo è di non incaponirsi nella personalizzazione sin dal primo step. Ci sono degli standard che si stanno affermando nell’esperienza utente, non possiamo pensare che sin dall’inizio cambiare quello standard ci renda particolari. C’è una differenza fra i canoni estetici e la personalizzazione dell’esperienza utente: quest’ultima dovrebbe basarsi sulle abitudini dell’utente nel recepire meglio determinate categorie e pagine prodotte e agevolarlo all’acquisto o all’upselling. Cambiare gli standard che si stanno attualmente affermando nella UX è un errore di presunzione, che non vuol dire personalizzare l’esperienza.

M.S.: In che modo una customer experience può risultare vincente e non invasiva?

V.V.: Noi lavoriamo con ecommerce che vanno dal beauty al food a ecommerce B2B. Non notiamo quella grande differenza tra un pubblico B2C e B2B, ma la grande differenza c’è nel momento in cui devi guidare l’utente nell’esperienza di scelta. Il digitale ci mette a disposizione tantissimi strumenti, il tema è come noi vogliamo mettere al centro il cliente. Mentre per il settore beauty o food le recensioni sono la miglior forma di social proof, magari WhatsApp può essere uno strumento intuitivo per l’ordine, ma mette troppo l’utente al centro e spesso non rappresenta una forma scalabile rispetto a un chatbot. Ci sono altri strumenti che a noi hanno dato soddisfazione, come fidelizzazione e come esperienza di fruizione del brand: i sondaggi. Però, il sondaggio è uno strumento che deve essere abbinato a una reward, deve sorprendere l’utente, questi deve sentire che quel tempo è investito come utile. In generale, quando noi pensiamo a qual è lo strumento per mettere l’utente al centro dobbiamo cercare di creare un circolo vizioso per cui l’utente, lasciato negli standard espressivi della UX che ci sono oggi, riesce a percepire che viene riconosciuto da quell’ecommerce attraverso della lettura dati delle sue abitudini quando visita quell’ecommerce.

M.G.: Grazie ai feedback degli utenti raccolti dagli strumenti di tracciamento, riusciamo bene a comprendere le abitudini, le esigenze. Facciamo un piccolo esempio: mettiamo caso che io sono un brand farmaceutico e ho necessità di profilare la mia utenza per capire di più su di loro, che cosa potrei fare? Potrei dire: «Rispondi a questo test e in cambio ti dò uno sconto del 10% sul tuo prossimo acquisto». Questo test è composto da domande di fondamentale importanza per quella che è la comunicazione del brand, l’impostazione dei valori del sito, che cos’è importante per il mio target e che informazioni sta cercando, se conosce oppure no il mio marchio. Grazie a questi feedback che raccogliamo riusciamo a strutturare un sito in un determinato modo, delle campagne che comunicano determinati valori perché sono gli utenti ad averci dato queste informazioni. Quindi riproponendo queste informazioni in modo ottimale a questi ultimi con l’impostazione del sito, il posizionamento SEO, le campagne advertising su rete di ricerca, display o social. L’utente si rende conto che in realtà le informazioni che ci lascia, non vengono perse ma vengono analizzate e trattate per migliorare la sua esperienza di navigazione. Un altro esempio sono le newsletter che sono un canale ottimale per veicolare e rimarcare utenza a costi molti bassi se confrontati ai costi, per esempio, dell’advertising. Anche qui è possibile generare dei contenuti su misura per il target, quindi offerte upsell o downsell per chi è interessato a una determinata categoria di prodotti o servizi. Un’alternativa molto simile sono le notifiche web push, notifiche che arrivano direttamente sul dispositivo mobile o desktop e notificano che c'è uno sconto, un price drop, una novità. Grazie all’analisi di tutte queste funzionalità riusciamo a capire meglio come si comporta l’utente, quali sono le sue necessità e strutturare un’esperienza di navigazione su misura, una comunicazione mirata alle sue necessità. Quello che posso consigliare è degli integrare strumenti di intelligenza artificiale, customer data, a livello multicanale come può essere SALESmanago, che ti permette di clusterizzare gli utenti che provengono da molti canali differenti e creare dei segmenti di pubblico che possono essere utilizzati in altrettante attività e strutturare comunicazioni mirate sulle base delle abitudini di questi ultimi.

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